TRE PASSI

300 parole per un Incubo (Scheletri 2022)
     
 

«Sbrigati,» gli gridò sua madre dalla cucina. «Sono quasi le otto.»

«Arrivo,» gracchiò Giulio. Diomio che voce dissecata. Disteso sul letto, fissava l’applique appesa al muro. Non ce la faccio, pensò. Niente scuola, oggi. Solita lotta intestina, ma stavolta era diverso. Aveva davvero le ossa stanche, per usare un’espressione di suo nonno. Non aveva fame. Magari avrebbe preso solo un caffè.

Controllò la sveglia digitale: 7.33. Fissò i numeri con ardente aspettativa: 7.34. Niente da fare. Non era riuscito a fermare il tempo.

Scostò le coperte. Pallidi piedi come quelli di cadavere all’obitorio, ma niente targhetta plastificata intorno all’alluce. Unghie giallastre. Un’altra micosi? Si alzò. Lo specchio sotto l'applique gli restituì un volto diverso. Notò persino un accenno di barba. Ottimo. A quattordici anni gli ormoni sparano fuori i peli.

«Il caffè viene freddo.» Ancora sua madre. Ultimo avvertimento. Tra poco sarebbe entrata e l’avrebbe trascinato di forza in cucina. Bagno. Denti. Minzione mattutina. Affrontò un primo passo verso la porta. Fu come guadare le sabbie mobili della Normandia. Ossa stanche. Macchie marroncino sulla pelle. La pipì premeva nelle palle. Sbrigati Diomio. Secondo passo. Una fitta al fegato. Poderosa. Fegato Spappolato. Dice mia madre: devi andare dal dottore a farti guardare, a farti visitare. Sorrise e un dente cadde sul pavimento. Spaventato, si portò le mani davanti agli occhi. Pelle avvizzita sulle braccia. Gli mancava il fiato, porca miseria. Per compiere il terzo passo e raggiungere la soglia dovette dar fondo a tutte le energie di cui disponeva. Troppo poche. Non portò a termine l’impresa. Crollò sul pavimento.

Sua madre arrivò di corsa, spalancando l’uscio. Giulio sollevò una palpebra e la fissò.

La donna urlò di orrore.

«Chi è lei? Come ha fatto a entrare?» chiese.

Il vecchio sul pavimento che indossava il pigiama di suo figlio disse:

«Mamma.»




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