LA RIVOLTA


Pubblicato originariamente sul sito minuticontati.com nel corso della
mini-sfida apocalittica,
il 19 giugno 2020
Udirono grattare alla porta. Dapprima fu soltanto un lieve rumore, come se qualcuno o qualcosa stesse accarezzando delicatamente il legno dell’anta, poi divenne più intenso, più violento. Un cane? Non c’erano cani nell’isola, ma entrambi sapevano che gli animali potevano coprire distanze incredibili. Jimmy sbiancò. Gli occhi spaziarono tutto intorno la stanza, soffermandosi sulle tre finestre  sigillate e oscurate. Tom afferrò istintivamente il telecomando e abbassò il volume del televisore. Si portò il dito indice alle labbra. Non far rumore.
Attesero qualche minuto, immobili.
Il grattare cessò. Succedeva sempre più spesso, ma erano preparati. Trassero comunque un profondo sospiro di sollievo. Tom guardò suo figlio e annuì.
«Se n’è andato,» sussurrò. «Porta giù le scatole, per favore.» Jimmy lo fissò serio, con quegli occhioni azzurri che gli ricordavano tanto la madre. Attraversò quello che un tempo era stato il soggiorno, ora una sorta di bottega dell’usato con le più disparate attrezzature disseminate sul pavimento, e assunse l’aria professionale di un addetto ai traslochi. Afferrò la scatola piccola, quella con le buste di frutta essiccata. Non era pesante, ma voluminosa. Si avviò verso l’apertura del bunker, nel pavimento della camera da letto. «Occhio ai gradini,» gli raccomandò Tom.
Jimmy si girò a guardarlo e annuì.
«Non preoccuparti, sto attento.» Mentre il bambino spariva in corridoio, Tom avvertì le lacrime montargli dentro. Il suo Jimmy. Aveva solo sette anni, ma assumeva l’atteggiamento di un adulto quando era coinvolto nei lavori di preparazione del loro rifugio. Un piccolo ometto. Sarebbe cresciuto in fretta, più in fretta di quanto Tom avrebbe voluto, in un mondo impazzito e senza una madre a proteggerlo. Il televisore muto era sintonizzato sulla CNN. Non che ci fossero alternative. Gli altri canali avevano via via cessato le trasmissioni da quando era cominciata la Rivolta. L’unica emittente rimasta a trasmettere in diretta ventiquattrore su ventiquattro era quella statunitense. Tom guardò distrattamente lo schermo, sperando di carpire qualche novità, qualcosa che potesse far supporre che era stata trovata una soluzione a tutto quel gran casino. Purtroppo le immagini che scorrevano erano sempre le stesse, cambiavano gli scenari, ma non la trama. Foreste in fiamme, colonne di carri armati in pianura, gruppi di uomini, donne e bambini  che abbandonavano la campagna nella disperata ricerca di un rifugio in città. Sì, il cemento armato, le recinzioni di metallo, i grattacieli, le aree urbane. Le metropoli. Erano divenute la terra promessa. Via dai boschi, dai prati, dal mare. Via dalla natura, dove la Rivolta era iniziata. Abbassò lo sguardo sulla guarnizione della pompa. Era vecchia, rinsecchita e smangiucchiata su tutto il profilo. Il reticolo di crepe la rendevano inutilizzabile. Era da due pollici e fortunatamente ne aveva alcune di scorta. Scorta era divenuta la parola d’ordine durante quell’ultimo mese. Raggiunse uno scaffale sull’altro lato del soggiorno, stipato di contenitori con ricambi e bulloneria. Jimmy risalì le scale del bunker. Si materializzò in superficie come un piccolo spettro birbante.
«Papà?»
«Sì, Jimmy.» «Perché soltanto il piombo funziona? Il ferro non è abbastanza resistente per tener fuori gli animali?» «Il piombo ha un altro scopo. Deve tener fuori le radiazioni. E’ l’unico materiale in grado di farlo.» Jimmy annuì.
«Così non ci cadono i capelli?»
«Esatto.»
«Da dove vengono le radiazioni?»
«Le provochiamo noi, con le bombe atomiche.» Jimmy girò istintivamente lo sguardo verso la tivù. Nuova carrellata di immagini dal satellite, non più dall'Europa ma dall'Africa. Il trafelato giornalista comunicò che c’era rimasto ben poco nel continente nero, dopo la pioggia atomica, e che le autorità di tutto il mondo ancora oggi non avevano individuato l’origine della Rivolta, tanto meno la causa che l’aveva scatenata. La sensazione collettiva era che fosse iniziato contemporaneamente dappertutto. Non si aveva avuto il tempo di prepararsi. La vita di sempre si era capovolta in un battito di ciglia. Le immagini crude di fiamme che divoravano le foreste scorrevano silenziose sullo schermo e Tom non poté fare a meno di ricordare il senso di impotenza di fronte ai terrificanti video che i telegiornali di ogni nazione avevano trasmesso quando erano iniziati i primi attacchi. Banchi di balene contro le navi negli oceani, stormi di uccelli come kamikaze a inceppare i motori dei Boeing in volo, e poi cani, gatti, tigri, elefanti, tori, mucche, capre, insetti. Ogni animale sulla terra aveva incominciato ad attaccare l’uomo, senza un’apparente ragione. «Le bombe uccidono gli animali, ma anche le persone, o no?» Tom sospirò. Ne avevano già parlato, ma spesso Jimmy tornava sull’argomento, quasi a sperare che a forza di chiederlo avrebbe finalmente ricevuto una risposta che gli piacesse, più confortante. «Purtroppo una bomba di quel genere rade al suolo qualsiasi cosa nel raggio di chilometri.» Tom schiacciò con forza la guarnizione nella sede a forma di anello e depose la pompa sul pavimento. La sorgente d’acqua potabile in cantina si era rivelata un segno del destino, significava che forse sarebbero sopravvissuti, nonostante tutto. La presenza del pozzo li aveva spronati a realizzare il bunker. Aveva acquistato la pompa anni prima per far fronte agli allagamenti causati dall’innalzamento della falda. Ora era diventata lo strumento primario  che avrebbe garantito loro la sopravvivenza per diverse settimane, addirittura mesi. «Lanceranno la bomba anche qui, papà?»
«Non lo so, Jimmy. Può darsi.» Lo faranno, siamo i prossimi sulla lista. Dobbiamo fare presto figlio mio, dobbiamo fare presto. «Sembra si stiano preparando per il Sud America, ma devono concedere il tempo alle persone di evacuare,» mentì. «Forse troveranno presto una soluzione che non sia così… definitiva.» Jimmy tacque. Stava rielaborando quelle informazioni per cercare di trarne un senso. Tom gli si avvicinò e gli accarezzò i capelli.
«Andrà tutto bene. Pensiamo al nostro rifugio.»
Jimmy guardò le scatole.
«Vado avanti a portare giù la roba, okay?»
«Bene, figliolo.» Tom controllò per l’ennesima volta il filtro dell’aria. Era il secondo oggetto più importante. Aveva il compito di proteggere la ventilazione del rifugio sotterraneo. La guarnizione e le sacche parevano in buono stato. Abbiamo qualche possibilità, si disse. Solo qualcuna, ma ce l’abbiamo. Impilò le taniche di gasolio per fare spazio e mettere un po’ d’ordine in soggiorno. Il carburante era per il generatore, nel caso in cui i pannelli fotovoltaici avessero smesso di funzionare. Afferrò il contenitore con le buste sottovuoto di carne essiccata e si avviò in camera da letto, per raggiungere il figlio. Scese le scale del bunker. La temperatura era di qualche grado più bassa e rabbrividì. Jimmy era in piedi davanti al pozzo. Il muretto rivestito di sasso gli arrivava all’ombelico. «Tutto bene?» gli chiese.
Il ragazzo non si voltò. Mantenne lo sguardo incollato al cerchio nero.
«C’è qualcosa nell’acqua,» disse.
Tom si avvicinò al muretto circolare. L’acqua era olio nero. Qualcosa sguazzava e si scagliava contro le pareti interne.
Naturalmente. Non ci aveva pensato. La falda era molto grande, il  pozzo una piccola fenditura attraverso cui stillare acqua da quel lago sotterraneo. Si sporse.
«Prendimi la torcia, Jimmy.»
Jimmy la recuperò e gliela porse. Un forma biancastra, simile a un uovo, nuotava in circolo, cozzando contro le pareti del pozzo. Era un pesce, ma sembrava anche qualcos’altro. Aveva tutta l’aria di essere una creatura degli abissi, di quelle che si vedevano nei documentari, con occhi da morto e coltelli al posto dei denti, ma dubitava che sarebbe riuscita a sopravvivere in superficie. Avrebbe dovuto quantomeno esplodere. Il pesce-uovo parve avvertire la presenza dei due umani. Schizzò fuori dall’acqua e schiaffeggiò la parete, un maldestro tentativo di aggrapparsi ai sassi. Tom notò delle piccole ventose, simili a minuscoli tentacoli, sotto la pancia della creatura. «Jimmy, prendi la lancia.»
«Lo uccidiamo?»
«Sì, non abbiamo alternative.»
Jimmy urlò.
«Ne vedo un altro! Là!» Tom lo individuò. Un altro pesce-uovo risaliva in superficie, come una pallone da calcio scolorito. Con la lancia in mano, Tom prese a sferzare l’acqua. Le due palle alabastrine erano rapide nei movimenti. I fendenti producevano schizzi tutt’intorno. Vide un altro pesce-uovo emergere dal fondo, come la faccia gonfia e pallida di un cadavere. Ora erano tre. Quattro.
Sette.
L’acqua era di colore bianco. I pesci-uovo ricoprivano tutta la superficie del pozzo.
Nove.
Dieci.
Ma quanti sono?
Stavano riempiendo il canale sotterraneo. Lo stavano saturando. «Jimmy, corri di sopra a prendere il fucile.» Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e schizzò come un proiettile su per le scale. Alcuni pesci-uovo erano per metà fuori dall’acqua, sospinti in superficie da quelli sottostanti. Ora erano in grado di abbarbicarsi alle pareti in sasso con le loro piccole ventose. La lancia colpì con violenza quel ribollire bianco di forme di vita. Il metallo appuntito penetrò la carne turgida di uno di essi. «Sbrigati!» urlò a suo figlio. Vivono anche fuori dall’acqua. Sono risaliti dalle profondità oceaniche solo per cacciarci.
«Jimmy!»
Suo figlio non tornava. Due pesci-uovo scavalcarono il muretto e piombarono sul pavimento come due gavettoni.  Impacciati, incominciarono a saltellare nella sua direzione. Altri risalivano le pareti. Un forte tonfo fece vibrare il soffitto della cantina. Riccioli di polvere gli caddero sulla testa. «Jimmy, che succede?»
Ancora nessuna risposta.
Alzò lo sguardo verso le scale.
Un’enorme figura si stagliava nel contorno illuminato della porta.
Era un orso.