IT - SECONDA PARTE (Post-IT)

Pubblicato originariamente su Facebook
     
 
17 Aprile 2013, Derry


Mike Hanlon si avvicina alla finestra, quasi sfiora il vetro con la fronte. Fuori piove. Grosse gocce di pioggia tamburellano sulla tettoia in policarbonato che protegge l’entrata di Serenity.

Li sente, dietro di sé. È fisicamente consapevole di quattro paia d’occhi incollati alla sua schiena come placche di gomma di un elettrocardiografo. Sospira a fondo, creando un cerchietto di condensa sul vetro. Accarezza distrattamente il ruvido rivestimento in pelle dei braccioli della sedia a rotelle e si gira verso i nuovi arrivati.

“Grazie per essere venuti,” dice.

Ben Hanscom grugnisce qualcosa di incomprensibile. Giace sprofondato in una delle poltrone del salottino comune. Il pancione spinge impavido sotto la camicia, sfida i bottoni in madreperla a tenere insieme il tutto. Beverly Marsh gli siede accanto, il viso incavato, la pelle che sembra priva di consistenza. Le macchie marroni della vecchiaia si mischiano alle lentiggini. Bill Denbrough occupa con Richie Tozier il divanetto a due posti sotto l’enorme televisore da sessanta pollici. Entrambi sono sulle spine, giocherellano con lo smartphone. Non riescono a tenere a freno le mani, ma per motivi diversi. Bill ha il parkinson, Richie avrebbe bisogno di una tirata di coca.

La casa di riposo è stata una scelta obbligata per il luogo dell’incontro. Mike ci soggiorna da più di tre anni, da quando una brutta caduta in biblioteca l’ha costretto ad andare prematuramente in pensione su una sedia a rotelle. Ora, osservando i suoi vecchi amici, non può fare a meno di notare che tutti, lui compreso, dimostrano un’età più avanzata di quella registrata all’anagrafe di Derry. Quella maledetta città si è succhiata una parte delle loro vite.

“Immagino sappiate perché vi ho chiamati.”

Un campanello squilla da qualche parte. Un’infermiera in camice verde attraversa il corridoio a passi rapidi.

Gredo di sabere il berché, badrone,” l’apostrofa Richie con la voce dello schiavo negro. Costretto ad abbandonare le Acuvue per un principio di cataratta, indossa un paio di occhiali con lenti spesse come fondi di bottiglia.

“È per quella cosa là?” gracchia Bill. Ripone il cellulare nella tasca della giacca. Si alza in piedi emettendo un sibilo.  “La solita cosa?”

“So che ora siete confusi,” sussurra Mike. “Ma presto ricorderete tutto con chiarezza.”

Ben tossisce ferocemente, estrae un fazzoletto dai pantaloni di fustagno e ci sputa sopra. Lo rimette a posto, incassando con un borbottio l’occhiata schifata di Beverly.

“Ricordiamo tutto, Mike,” dice, alzandosi a sua volta. Fa spaziare lo sguardo tutto intorno, raccogliendo il consenso degli altri. “Credo di parlare a nome di tutti se ti dico: vai a fare in culo.”

Sissignorsì,” incalza Richie. “Sdavolta non freghi il duo biccolo schiavo negro. Biccolo negretto divendato furbo.

“Fanculo,” rincara Bill. “Nemmeno per un milione di dollari.”

“Mi hai già fottuto una volta,” sbotta Bev, sorreggendosi a Ben. “Non hai proprio un cazzo da fare?”

“Abbassa la voce” l’apostrofa Ben. Poi, rivolto a Mike: “Hasta luego, amigo!”

I quattro anziani escono dal salottino e guadagnano l’uscita.

Mike sospira. Torna a osservare la pioggia all’esterno. Sono quasi le diciassette. Scorge una sagoma argentata oltre la cortina di pini del parco. Gli sembra di riconoscere a chi appartiene. Distoglie lo sguardo e spinge le ruote della sedia fino al corridoio.

Forse troverà qualcuno disposto a sfidarlo a burraco.



FINE






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